Ieri sera ho visto “Big Eyes”, era in programmazione su Rai Movie e così ho approfittato. Ricordo che quando uscì il film nel 2015 volevo andare a vederlo al cinema perché c’era “qualcosa” che mi attirava, ma non riuscii ad andarci (ed effettivamente quel qualcosa mi ha colpito anche ora che l’ho visto). Da allora ho sempre rimandato la sua visione relegandogli un posto sulla mia lista “Film da vedere”.
Trovare un titolo che mi interessava nella programmazione televisiva in una serata in cui non sapevo che fare, mi è sembrato un segno, andava visto.
Ma cos’è “Big Eyes”?
È essenzialmente una storia di un’artista incompresa. La regia è di Tim Burton, anche se non si scorge sempre il suo tratto. Il film racconta la storia (vera) di Margaret Peggy Doris Hawking (poi Keane) e di suo marito (il secondo) Walter Keane.
Margaret è una pittrice, cerca il suo posto nel mondo, un mondo fatto di uomini e dove una donna non ha molte scelte di vita. È il 1958, Margaret arriva a San Francisco, scappando insieme a sua figlia, dalla vita insostenibile che conduce con suo marito. Nonostante il suo grande talento le possibilità di trovare un occupazione sono pochissime. Ma non si arrende, realizza ritratti per strada per pochi spiccioli.
Le opere della Keane sono tutte caratterizzate da grandi occhi (da qui il titolo del film), malinconici e sproporzionati rispetto al volto, perché «io penso che si vedano tante cose negli occhi. Gli occhi sono lo specchio dell’anima.» (Margaret Keane, in Big Eyes)
Ed è proprio per strada che incontra un altro artista, Walter Keane, carismatico, pieno di sogni e aspirazioni. Incontra Walter proprio nel momento del bisogno; l’ex marito infatti vuole riprendersi sua figlia e lei, madre single (negli anni ’60) non sarà in grado di riuscire a tenerla con se. Ma Walter è così buono e affascinante che le chiede di sposarlo per risolvere il problema. Matrimonio veloce, all’inizio felice ma ben presto si rivelerà un incubo per Margaret.
Walter, agente immobiliare ma con la voglia ossessiva di diventare un artista famoso, cerca a tutti i costi di esporre le “sue” opere (si metto le virgolette perché poi si scoprirà che anche quelle non sono sue) e quelle della moglie nelle gallerie d’arte, ma viene sempre rifiutato, fino a quando un giorno qualcuno resta affascinato dai grandi occhioni dipinti da Margaret. Walter coglie l’occasione e decide di appropriarsi fraudolentemente delle opere della moglie. Margaret scoprirà ben presto lo stratagemma del marito, profondamente delusa, tenta di opporsi ma poi accetta a malincuore la situazione, poiché il guadagno economico risulta costante e inarrestabile.
Ormai le opere di Margaret, attribuite a Walter, diventano famosissime e il marito accentua il lato commerciale vendendo copie degli originali anche al supermercato. Intanto la relazione tra i due è sempre più in crisi e Margaret non riesce ad accettare più la situazione. Ma ribellarsi all’ossessione della fama e del successo e alla malvagità di Walter non è semplice per Margaret, così debole e sensibile. Un giorno riesce però a trovare in se stessa una grande forza interiore, abbandona il marito e svela il suo segreto. Cerca giustizia al tribunale, che dopo un processo di 3 settimane attribuisce la paternità delle opere a Margaret.
È un film particolare, biografico, a tratti drammatico e malinconico come i grandi occhi dipinti da Margaret Keane.
È considerato il film meno burtoniano della produzione di Tim Burton, anche se secondo me si sente la sua presenza. C’è sicuramente il retrogusto grottesco, l’ironia in fondo al dramma, tipici elementi Burtoniani, ma anche l’amore per la pop art, per l’autodeterminazione (qui tutta al femminile), c’è l’orrore del conformismo, espresso tutto nella dimensione del ridicolo. Inoltre sembra esserci un filo diretto tra gli occhioni tristi di “Big Eyes” e quelli altrettanto sgranati, segnati, quasi piangenti di “Edward Mani di Forbice” o della “Sposa Cadavere” o di molti altri celebri personaggi di Burton.
Ma il film esamina anche «come una persona si lasci possedere dalle manifestazioni di un’altra. Da una parte c’è il bisogno disperato di Walter di ottenere il successo e l’adorazione per un talento che non ha; dall’altra c’è l’autosacrificio di Margaret e una forza interiore che le permette di tacere controvoglia, finché sbotta.»
Racconta di una personalità silenziosa e remissiva ma estremamente espressiva come quella di Margaret, parla di artisti non capiti, di un’esistenza artistica combattuta, incompresa, osteggiata. Parla di una donna, di «una creativa che parla poco e a parole non sa difendersi. Ma le basta dipingere.», ma anche di tutte le “personalità non verbali” come la definisce Tim Burton stesso, una personalità che sente affine a lui, e anche io sento vicina a me, e forse è per questo che a me il film è piaciuto, al di là delle critiche, del finale frettoloso, o dai momenti incolori; l’essenza c’era tutta.
Margaret «non è capace di farsi valere con la parola. Si esprime con le sue tele, lascia che sia la sua arte a parlare per lei. Io funziono allo stesso modo.»
Sono le parole di Tim Burton, ma potrebbero essere le mie o quelle di chiunque altro riesca a vedere nei grandi occhi della Keane, se stesso e il suo lato più oscuro.
Forse ci sarebbero altre molte considerazioni da fare, ma lascio la parola anche a voi. Conoscevate già la Keane? Avete visto il film? Come vi è sembrato? 🙂
Vi lascio il trailer sotto.
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